Giornalisti e collaboratori dei media vivono sempre peggio in molti paesi, ma l’Italia torna fra i paesi ‘liberi’ Il 3 maggio è stata celebrata in tutto il mondo la diciasettesima giornata della libertà di stampa, ma a ben guardare c’è poco da festeggiare. La situazione sta regredendo in molte parti del mondo e i rapporti sul numero di giornalisti uccisi dall’inizio del 2007, pubblicati i primi giorni di maggio, sono ormai storia vecchia. Nei giorni scorsi sono stati uccisi quattro giornalisti iracheni in un attacco a Kirkuk e il reporter della Bbc, Alan Johnston, continua a essere nelle mani di un gruppo radicale islamico palestinese che ne ha rivendicato il rapimento qualche giorno fa. Johnston è stato rapito il 12 marzo a Gaza. Secondo Reporters sans frontières dall’inizio del 2007 sono 29 i giornalisti e i collaboratori di media uccisi mentre stavano esercitando il loro lavoro, 167 sono quelli morti dall’inizio del conflitto in Iraq che, per il quarto anno consecutivo, è il paese con il numero più alto di giornalisti uccisi. Altri luoghi che non promettono nulla di buono per i giornalisti sono la striscia di Gaza e il sud e l’est dell’Afghanistan, parzialmente controllati dai talebani. In una conferenza di Rsf Daniele Mastrogiacomo, ostaggio per due settimane in Afghanistan lo scorso marzo, ha detto: “Ho constatato amaramente che il nostro mestiere è cambiato: non possiamo più recarci in zone in mano a insorti o combattenti, in situazioni di guerre civili. In queste zone rapiscono sempre di più e tenere in ostaggio i giornalisti è diventato uno strumento di ricatto. Il giornalista diventa così un soggetto passivo nelle mani dei sequestratori’’. Qualche buona notizia in merito alla libertà di stampa arriva invece per l’Italia. Nel suo rapporto annuale Freedom House ha riportato il nostro paese allo status di ‘libero’, mentre nel 2006 era fra i ‘parzialmente liberi’. Il merito della promozione va “primariamente a causa del fatto che Berlusconi non è più premier”. Infatti, “pur rimanendo l’informazione privata nelle mani di Mediaset controllata da Berlusconi la principale emittente pubblica Rai non è più sotto il suo controllo”. L’Italia ha ancora parecchia strada da fare. Ha un quoziente 29 e si trova in classifica insieme a paesi come Israele e Capo Verde ed è preceduta da stati europei compresi Grecia e Polonia (rispettivamente con quotiziente 25 e 22). A guidare la classifica sono Finlandia e Islanda, con quotiziente 9. Secondo Freedom House, la situazione sta invece peggiorando in Asia, nell’ex Unione Sovietica e America Latina. Per Jennifer Windsor, direttore esecutivo di Freedom House “la libertà di stampa è come il canarino nella miniera di carbone. Gli attacchi ai media sono inevitabilmente seguiti da attacchi ad altre istituzioni democratiche. Il fatto che ��la libertà di stampa stia regredendo rappresenta un segnale preoccupante che la democrazia stessa possa subire ulteriori attacchi in aree critiche del mondo”. Dei 195 paesi e territori analizzati da Freedom House, 74 (38%) sono considerati ‘liberi’, 58 (30%) ‘parzialmente liberi’ e 63 (32%) ‘non liberi’. In sostanza è solo 18% della popolazione mondiale a vivere in paesi con una stampa libera, il 39% ha una stampa parzialmenet libera e addirittura il 43% non ha libertà di stampa. La situazione sta degenerando nelle Americhe e nell’ex Unione Sovietica. La maglia nera va al Venezuela che negli ultimi cinque anni ha registrato il declino peggiore. Altri paesi in calo sono Thailandia, Filippine, Russia, Argentina, Ethiopia e Uganda. “I record di Venezuela e Russia sono spaventosi, soprattutto per l’impatto che questi paesi hanno nelle loro regioni – afferma Karin Karlekar, direttore della ricerca -. Ma siamo anche preoccupati per il calo della libertà di stampa in paesi che pensavamo fossero delle democrazie” Per il Committe to protect journalists sono dieci i paesi che hanno registrato il risultato peggiore in termini di libertà di stampa negli ultimi cinque anni. La classifica è guidata dall’Etiopia, con 18 giornalisti arrestati e decine costretti all’esilio. Seguono il Gambia, la Repubblica Democratica del Congo, la Russia, Cuba. A questi si aggiungono Pakistan, Egitto, Azerbaijan, Marocco e Thailandia. Questi ultimi due paesi, secondo il Cpj, erano considerati leader della libertà di stampa nelle rispettive regioni ma hanno registrato un brusco declino negli ultimi cinque anni. “Il comportamento di tutti questi paesi è molto preoccupante – avverte il direttore del Cpj Joel Simon -, ma il rapido declino in paesi dove i media prosperavano, dimostra come i diritti fondamentali della libertà di stampa possono essere cancellati rapidamente”. In carcere finiscono sempre più blogger. La denuncia arriva dall’Onu. “I cyber-dissidenti arrestati nell’anno passato sono almeno 65 – spiega Tala Dowlatshahi, responsabile a New York di Reporters sans frontières – noi possiamo decidere come informarci scegliendo tra migliaia di fonti, ma nel resto del mondo questa opportunità non è sempre garantita”. Casi di censura di blog sono stati segnalati negli Stati Uniti, in Egitto e in Cina. “Skype ha reso molto più facili le conversazioni tra i giornalisti e le loro fonti – dice Dowlatshahi – ma anche in questo caso il governo cinese ha bloccato le parole chiave, impedendo ai cittadini di parlare del Dalai Lama” I predatori della stampa Rsf ha stilato come ogni anno la lista dei ‘predatori’ della libertà di stampa. Al primo posto figura Abdallah Ibn al-Saud, re dell’Arabia Saudita. Per l’associazione, nel paese non esiste alcuna legge a tutela della libertà di espressione e “i giornalisti non osano criticare il regime e l’autocensura è la regola”. Il re saudita è in buona compagnia. Per Rsf figurano tra i predatori i gruppi islamici armati di Afghanistan, Bangladesh, Iraq e Pakistan, colpevoli di attacchi e intimidazioni nei confronti dei reporter. Nella lista ci sono anche alcune vecchie conoscenze di Rsf come il presidente russo Vladimir Putin. In Russia “il pluralismo è ormai un sogno lontano e i media regionali lavorano sotto la pressione di governatori o autorità locali nominati da Putin”. Rsf ricorda che nel paese sono stati uccisi ventun giornalisti compresa la reporter Anna Politkovskaya, dall’entrata in carica di Putin. Altri ‘predatori’ di vecchia data sono il presidente cinese Hu Jintao, i fratelli cubani Fidel e Raul Castro, il libico Muammar Gheddafi, il nord coreano Kim Jong-il e il pachistano Pervz Musharraf. Nei paesi arabi i giornalisti i proteggono da soli Una ventina di giornalisti di Egitto, Arabia Saudita, Siria, Marocco e Libia ha dato vita alla “Unione libera dei lavoratori dei media”. L’obiettivo dell’associazione, che sarà operativa a giugno, è la difesa della libertà di espressione e di aiutare i giornalisti in carcerati. Si tratta di un tentativo di combattere le restrizioni alla libertà di stampa in molti paesi arabi. L’associazione riceverà un contributo di tipo logistico dal centro di ricerche Ibn Khaldoun e dal sociologo e militante dei diritti umani Saadeddine Ibrahim che sottolinea come il mondo arabo abbai bisogno “di un maggiore pluralismo nella società o la situazione continuerà a peggiorare”. Uno dei fondatori dell’associazione, Youssef Abdel Latif, corrispondente da Londra di ‘Al-Mouraqeb al-Arabi’, spiega la missione della neonata organizzazione: “mettere a nudo le violazioni del diritto all’espressione e contribuire agli sforzi per modificare le leggi che limitano la libertà d’espressione”. Il gruppo pubblicherà un rapporto annuale e darà un aiuto finanziario alle famiglie dei giornalisti arabi incarcerati. Algeria al bivio: libertà di stampa reale o a parole? Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika applaude lo sviluppo di una stampa “professionale, indipendente e responsabile” in un messaggio rivolto ai giornalisti in occasione della giornata mondiale della libertà di stampa. La storia del giornalismo in Algeria è contrastata fin dal 1989 e i giornalisti locali chiedono da anni a gran voce di depenalizzare alcuni reati “di stampa” contenuti nel codice penale. Recentemente sono stati scarcerati 200 giornalisti dopo aver ricevuto la grazia dal presidente Abdelaziz Bouteflika. Nonostante le aperture di facciata, le istituzioni algerine sono ancora diffidenti all’idea di aprire radio e tv private e la completa indipendenza della stampa locale non è ancora “all’ordine del giorno” nell’agenda politica del paese africano, secondo il ministro delle Comunicazioni Hachemi Djiar. Simona Montella
10 Maggio 2007 | Senza categoria
La stampa in gabbia
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